Una delle fobie più comuni e diffuse al mondo, e anche più nota, è senz’altro la claustrofobia, caratterizzata da una paura intensa e irrazionale degli spazi chiusi o confinati.
Luoghi come ascensori, treni sotterranei, stanze piccole o affollate possono scatenare sensazioni di panico, ansia e soffocamento, tanto da spingere chi ne soffre ad evitare del tutto queste situazioni.
Pur essendo un disturbo riconosciuto, la claustrofobia è spesso fraintesa o minimizzata, ma può avere un impatto significativo sulla qualità della vita.
Approfondiamo insieme, e cerchiamo di capire cause, sintomi, rimedi e cure della claustrofobia.
Cos’è la claustrofobia?
La claustrofobia è la paura degli spazi chiusi, che può causare disagio e stress in chi ne soffre. Il termine deriva dalla radice latina “claustro” (chiuso) e da quella greca “phobia” (paura).
Secondo il DSM-V, essa rientra tra i disturbi d’ansia e viene descritta come una fobia specifica di tipo situazionale.
Per approfondire le altre fobie, invitiamo a leggere il nostro articolo Quali sono le 10 fobie più comuni e come superarle.
Solitamente, chi ne è affetto cerca di evitare consapevolmente luoghi stretti o chiusi come stanze piccole, ascensori, treni sotterranei o luoghi affollati.
Tuttavia, non è tanto lo spazio chiuso in sé a spaventare, quanto la possibilità di rimanere intrappolati o di sperimentare situazioni di pericolo, come la mancanza d’aria o l’impossibilità di uscire.
Quali sono le cause della claustrofobia?
Le cause della claustrofobia possono essere molteplici e complesse, coinvolgendo una combinazione di fattori psicologici, biologici e ambientali.
Le principali teorie che spiegano l’origine di questa fobia sono le seguenti:
- Esperienze traumatiche: molti casi di claustrofobia derivano da esperienze traumatiche vissute in spazi chiusi o confinati, soprattutto durante l’infanzia. Episodi come essere intrappolati in una stanza, immobilizzati in un posto ristretto o sperimentare situazioni di panico in luoghi chiusi possono lasciare una traccia duratura. Questi eventi traumatici creano un’associazione tra spazi confinati e paura intensa, che persiste anche in età adulta;
- Condizionamento: il condizionamento classico è un processo attraverso il quale una persona può imparare ad avere paura degli spazi chiusi. Se una persona ha avuto esperienze negative ripetute in situazioni di restrizione o di immobilizzazione, il suo cervello può associare automaticamente gli spazi chiusi al pericolo. Questo processo di apprendimento può essere indiretto, ad esempio osservando qualcuno che manifesta paura in uno spazio ristretto;
- Fattori genetici e biologici: alcune ricerche suggeriscono che la claustrofobia possa avere una componente genetica. Nello specifico, le mutazioni nel gene GPM6A rappresentano un rischio genetico per la paura di rimanere intrappolati in spazi ristretti. Inoltre, predisposizioni ereditarie possono influenzare la reattività di una persona agli spazi chiusi. In particolare, gli studi hanno evidenziato che i meccanismi biologici legati alla percezione del pericolo, alla regolazione dell’ansia e alle reazioni di “lotta o fuga” possono essere alterati in individui con claustrofobia. Questi individui potrebbero avere un’ipersensibilità biologica a situazioni percepite come pericolose o di confinamento;
- Paura evolutiva: alcuni psicologi evoluzionisti ritengono che la claustrofobia possa avere radici antiche. La paura di essere intrappolati o confinati può essere stata adattiva per la sopravvivenza degli esseri umani primitivi. Ad esempio, rimanere intrappolati in una grotta o in un luogo chiuso senza possibilità di fuga rappresentava un reale pericolo. Questa paura ancestrale potrebbe essersi mantenuta come una reazione istintiva in certe persone, un retaggio evolutivo che ancora oggi si manifesta;
- Paura del soffocamento: le persone claustrofobiche spesso temono che, in spazi ristretti, manchi l’aria e che possano soffocare. Questo timore è particolarmente comune tra coloro che hanno sperimentato episodi di difficoltà respiratoria o attacchi di panico in passato. La sensazione di non poter respirare adeguatamente in uno spazio chiuso può contribuire a innescare la paura claustrofobica;
- Fattori psicologici e di personalità: le persone con tendenze ansiose o con disturbi come il disturbo d’ansia generalizzato o il disturbo di panico sono più inclini a sviluppare claustrofobia. Questi individui possono interpretare erroneamente le sensazioni corporee (ad esempio, una lieve difficoltà respiratoria) come segnali di pericolo imminente, aumentando così la loro paura degli spazi chiusi;
- Condizioni mediche: alcune condizioni mediche che coinvolgono difficoltà respiratorie, come l’asma o problemi cardiaci, possono predisporre una persona a sviluppare claustrofobia. Il timore di soffocare o di non riuscire a respirare correttamente in spazi chiusi può essere aggravato da problemi fisici che influenzano la respirazione.
Ogni persona può sviluppare questa fobia per motivi diversi, e la sua gravità può variare da individuo a individuo, a seconda delle esperienze e delle predisposizioni personali.
Gli studi di Rachman
Secondo uno studio condotto da S. Rachman e pubblicato sul Journal of Anxiety Disorders, dal titolo Analyses of claustrophobia, la claustrofobia sarebbe composta da due elementi:
- paura della restrizione: questa componente si riferisce alla paura di sentirsi bloccati o fisicamente limitati in un ambiente chiuso. Esempi di situazioni che suscitano questo tipo di paura possono includere essere legati, trovarsi in ascensori, o in stanze senza finestre;
- paura del soffocamento: riguarda il timore di non riuscire a respirare correttamente in uno spazio ristretto. Situazioni come l’uso di una maschera antigas, respirare attraverso una cannuccia, o trovarsi in una stanza affollata potrebbero provocare questa sensazione di ansia.
Questi due fattori risultano essere moderatamente correlati, anche se altri fattori, come la sensibilità all’ansia, possono svolgere un ruolo.
“The Claustrophobia Questionnaire”: il test per misurare la claustrofobia
Sulla scorta degli studi condotti da S. Rachman, nel 1993 è stato sviluppato il cosiddetto “The Claustrophobia Questionnaire (CLQ)”, uno strumento psicometrico che misura l’intensità delle due componenti summenzionate (paura di soffocare e di essere limitati nei movimenti).
Questo questionario è stato creato con l’obiettivo di chiarire meglio le dinamiche alla base della claustrofobia e di offrire una scala utile per la ricerca e la clinica.
Durante lo sviluppo iniziale del CLQ, 179 partecipanti hanno risposto a un questionario che includeva domande relative alla claustrofobia e hanno preso parte a cinque test comportamentali per valutare direttamente le loro reazioni, che includevano esperienze come:
- respirare attraverso una cannuccia;
- indossare una maschera antigas;
- stare in un armadio;
- essere legati in un sacco di tela;
- sdraiarsi su una mensola.
I punteggi di paura raccolti sono stati analizzati statisticamente attraverso un’analisi delle componenti principali, che ha confermato la moderata correlazione dei due fattori.
Quali sono i sintomi della claustrofobia?
I sintomi della claustrofobia possono variare in intensità da persona a persona, ma generalmente si manifestano quando un individuo si trova o si aspetta di trovarsi in spazi chiusi o confinati.
Questi sintomi possono essere sia fisici che psicologici e possono includere veri e propri attacchi di panico in situazioni estreme.
Vediamo, nel dettaglio, i sintomi più comuni.
Sintomi fisici:
- sudorazione eccessiva;
- aumento del battito cardiaco (tachicardia);
- sensazione di soffocamento o difficoltà respiratoria (dispnea);
- dolore o pressione al petto;
- vertigini o sensazione di svenimento;
- tremori o scosse nel corpo;
- nausea o mal di stomaco;
- secchezza delle fauci;
- sensazione di formicolio o intorpidimento (soprattutto nelle mani o nei piedi);
- mal di testa o senso di pesantezza alla testa.
Sintomi psicologici:
- paura estrema di perdere il controllo o di impazzire;
- paura di morire, spesso collegata al timore di soffocare o di non poter fuggire;
- sensazione di panico o terrore imminente;
- paura di essere intrappolati o di non poter scappare da un luogo chiuso;
- ansia anticipatoria: preoccupazione o ansia prima di entrare in spazi confinati (ad esempio, un ascensore o un tunnel);
- sensazione di dissociazione: sentirsi distaccati dalla realtà o da sé stessi durante episodi di forte ansia (depersonalizzazione).
A livello cognitivo, le persone claustrofobiche possono sperimentare pensieri negativi o catastrofici, come:
- “Non riuscirò a uscire di qui.”;
- “Potrei soffocare.”;
- “Perderò il controllo.”;
- “Mi sentirò male o sverrò.”.
Oltre ai sintomi fisici, psicologici e cognitivi, la claustrofobia può portare a comportamenti di evitamento, come:
- evitare di usare ascensori, treni sotterranei, aerei o altri mezzi di trasporto che comportano spazi confinati;
- rifiutare di entrare in tunnel, stanze senza finestre o spazi affollati;
- evitare procedure mediche che richiedono l’ingresso in spazi ristretti, come la risonanza magnetica (MRI);
- mantenere sempre una via di fuga aperta (ad esempio, sedersi vicino all’uscita in un cinema o in un teatro).
In situazioni particolarmente intense, la claustrofobia può scatenare un attacco di panico, che si manifesta con una combinazione di molti dei sintomi sopra menzionati, insieme a una sensazione di terrore improvviso e schiacciante.
Come si può evincere, quindi, i sintomi della claustrofobia possono essere debilitanti e compromettere significativamente la qualità della vita di una persona.
Rimedi e cure
Come calmare un attacco di claustrofobia? Si può procedere con diversi approcci terapeutici e rimedi, sia psicologici che farmacologici.
L’obiettivo delle cure, in ogni caso, è ridurre i sintomi e migliorare la qualità della vita della persona affetta, consentendole di affrontare spazi chiusi senza ansia debilitante.
Ecco i principali trattamenti disponibili:
- Terapia cognitivo-comportamentale (CBT): è uno dei trattamenti più efficaci per la claustrofobia, e si concentra su:
- riconoscere e modificare i pensieri negativi o irrazionali associati agli spazi chiusi;
- ristrutturazione cognitiva, cioè la sostituzione dei pensieri di paura con interpretazioni più razionali e realistiche;
- tecniche di esposizione graduale: il paziente viene esposto in modo controllato e graduale a situazioni temute, come entrare in una stanza chiusa o prendere un ascensore, per ridurre l’ansia attraverso l’abituazione.
- Desensibilizzazione sistematica: questa tecnica prevede l’esposizione graduale alle situazioni che scatenano la paura, combinata con tecniche di rilassamento. La persona viene lentamente desensibilizzata alle sue paure, affrontando situazioni claustrofobiche in modo progressivo;
- Tecniche di rilassamento e mindfulness: possono essere utili per aiutare a gestire l’ansia causata dalla claustrofobia
- Terapia di esposizione virtuale (VRET): utilizza la realtà virtuale per creare ambienti simulati di spazi chiusi, come ascensori o stanze piccole, dove il paziente può affrontare gradualmente la sua paura in un contesto controllato e sicuro. Questo tipo di esposizione è particolarmente utile per le persone che hanno difficoltà a praticare l’esposizione in ambienti reali;
- Farmacoterapia: in alcuni casi, il trattamento farmacologico può essere utilizzato per alleviare temporaneamente i sintomi di claustrofobia, soprattutto quando l’ansia è intensa o interferisce con la vita quotidiana. Nei casi più lievi, invece, è possibile ricorrere a rimedi non farmacologici contro l’ansia, come integratori e ansiolitici naturali. Tuttavia, i farmaci non risolvono la causa della claustrofobia e sono spesso utilizzati in combinazione con la terapia psicologica;
- Tecniche di auto-aiuto: possono essere utili nel gestire i sintomi della claustrofobia, consentendo al soggetto di evitare l’auto-isolamento, affrontare gradualmente le paure, e imparare a gestire lo stress;
- Ipnoterapia: è una pratica utilizzata da alcuni terapeuti per aiutare i pazienti a rilassarsi profondamente e ad accedere alla parte inconscia della mente. Attraverso l’ipnosi, il terapeuta può aiutare il paziente a modificare i pensieri e le reazioni automatiche legate agli spazi chiusi;
- Terapia di gruppo: partecipare a gruppi di supporto o a terapia di gruppo può aiutare le persone claustrofobiche a condividere esperienze e strategie di gestione della paura. Sentirsi compresi e avere un sostegno sociale può ridurre l’ansia legata alla condizione.
Il trattamento della claustrofobia richiede spesso un approccio combinato, da definire sulle reali esigenze del paziente.
Bibliografia
- Analyses of claustrophobia, S. Rachman, Steven Taylor, Journal of Anxiety Disorders;
- The Claustrophobia Questionnaire, Adam S. Radomsky, S. Rachman, Dana S. Thordarson, Heather K. McIsaac, Bethany A. Teachman, Journal of Anxiety Disorders;
- A single gene defect causing claustrophobia, El-Kordi, A., Kästner, A., Grube, S. et al., Translational Psychiatry
- La versione italiana del “Claustrophobia Questionnaire”: studio di validazione e prospettive di utilizzo per il medico del lavoro, Giuseppe Ferrari, Francesco Chirico, Chiara Villi, Giuseppe Taino, Ines Giorgi, Enrico Oddone, Marcello Imbriani, Giornale Italiano di Medicina del Lavoro Ed Ergonomia.
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