Quando si parla di depressione il tema della cosiddetta depressione da lutto non viene affrontato molto spesso, almeno non dal punto di vista medico-scientifico, eppure colpisce moltissimi individui in tutto il mondo.
Perdere una persona cara non è mai semplice, e sappiamo benissimo che ogni individuo affronta il lutto in modo diverso.
C’è chi riesce a sopportare meglio il dolore, o almeno a controllarlo per evitare che sia esso a controllare lui, e chi, invece, soccombe, e cade in depressione, originando una condizione patologica, invalidante e persistente, in cui queste emozioni negative continuano a persistere, compromettendo significativamente il funzionamento del soggetto.
Nei casi più complessi, alla perdita possono conseguire reazioni emotive compatibili con quelle del disturbo da stress post traumatico, caratterizzate da pensieri e ricordi intrusivi, iperattivazione fisiologica, fino ad arrivare a sintomi dissociativi, oppure con quelle del disturbo depressivo maggiore, nel quale prevalgono invece sentimenti di disperazione, tristezza, paura ecc.
Evoluzione della diagnosi
Il lutto veniva, fino a qualche tempo fa, ricondotto al disturbo depressivo maggiore o al disturbo post traumatico da stress.
Da un punto di vista applicativo, il DSM-IV-TR considerava il lutto tra le cosiddette “condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica”, già prendendo in considerazione quindi che la persona potesse andare incontro a qualche difficoltà nel fisiologico processo di elaborazione.
Il DSM-IV-TR, tuttavia, suggeriva che, passati due mesi di sintomi riferibili alla complicazione del processo di elaborazione, si dovesse procedere a una diagnosi di depressione maggiore.
Solo con la pubblicazione della quinta edizione del Manuale Diagnostico e statistico dei Disturbi Mentali, il disturbo da lutto persistente complicato ha assunto una sua autonomia, risolvendo la parziale sovrapposizione del quadro sintomatologico legato al lutto complicato, che è sempre riferita solo sulla persona deceduta, anziché essere generalizzata come nel disturbo depressivo maggiore o nel disturbo post traumatico da stress.
Depressione da lutto: un evento spesso sottovalutato
Purtroppo, trattandosi di un evento fisiologico, che tutti prima o poi dobbiamo affrontare, il lutto viene molto spesso sottovalutato, soprattutto in merito alle sue ripercussioni sull’umore.
In effetti, un conto è la naturale reazione di dolore e tristezza derivante dalla perdita di una persona cara, un altro è il suo sfociare in episodi depressivi, che andrebbero affrontati in modo diverso.
Approfondiamo insieme il tema della depressione da lutto, individuando alcuni percorsi terapeutici alternativi a quelli farmacologici.
Depressione da lutto, disturbi dell’adattamento e depressione reattiva
La depressione da lutto può essere inserita in due macro categorie, indicate nel DSM-V con le seguenti etichette:
- Traumi e disturbi legati allo stress;
- Disturbi dell’adattamento.
Si tratta di due categorie molto ampie, che possono avere diverse cause e provocare reazioni differenti, non necessariamente depressive.
Alla prima categoria abbiamo già dedicato un’ articolo che ti invitiamo a leggere: La depressione reattiva.
Per quanto riguarda i disturbi dell’adattamento, nel DSM-V si parla di risposta emotiva ad un evento stressante, come la fine di una relazione o, appunto, la perdita di una persona cara.
La depressione da lutto prolungato
In merito alla depressione da lutto, nel DSM-V si legge che i disturbi dell’adattamento possono essere diagnosticati in seguito alla morte di una persona cara quando l’intensità, la qualità o la persistenza delle reazioni di dolore superano quello che normalmente ci si potrebbe aspettare, tenuto conto di fattori culturali, religiosi o appropriati all’età.
L’insieme di sintomi depressivi correlati al lutto rientrano nella definizione di “persistent complex bereavement disorder” o “prolonged grief disorder”, in italiano disordine da lutto prolungato.
Purtroppo, in casi più estremi, i disturbi dell’adattamento, e in particolare la depressione da lutto, sfocia molto spesso in un aumento del rischio di suicidio, motivo in più per non sottovalutare il fenomeno e non liquidare come semplice “tristezza”.
Come si diagnostica una depressione da lutto
Secondo i criteri definiti dal DSM-V, si può parlare di depressione da lutto, o più correttamente di disturbo da lutto persistente complicato, quando si presentano le seguenti condizioni:
- L’individuo ha vissuto la morte di qualcuno con cui aveva una relazione stretta;
- Dal momento della morte, almeno uno dei seguenti sintomi è stato presente per un numero di giorni superiore a quello in cui non è stato presente e a un livello di gravità clinicamente significativo, ed è perdurato negli adulti per almeno 12 mesi e nei bambini per almeno 6 mesi dopo il lutto:
- Un persistente desiderio/nostalgia della persona deceduta. Nei bambini piccoli, il desiderio può essere espresso nel gioco e nel comportamento, anche tramite comportamenti che riflettono l’essere separato da, e anche riunito a, un caregiver o un’altra figura oggetto di attaccamento.
- Tristezza e dolore emotivo intensi in seguito alla morte.
- Preoccupazione per il deceduto.
- Preoccupazione per le circostanze della morte. Nei bambini, questa preoccupazione per il deceduto può essere espressa attraverso i contenuti del gioco e il comportamento e può estendersi fino alla preoccupazione per la possibile morte di altre persone vicine.
- Dal momento della morte, almeno 6 dei seguenti sintomi sono stati presenti per un numero di giorni superiore a quello in cui non sono stati presenti e a un livello di gravità clinicamente significativo, e sono perdurati negli adulti per almeno 12 mesi e nei bambini per almeno 6 mesi dopo il lutto:
- Sofferenza reattiva alla morte:
- Marcata difficoltà nell’accettare la morte. Nei bambini, questa difficoltà dipende dalla capacità di comprendere il significato e la definitività della morte.
- Provare incredulità o torpore emotivo riguardo la perdita.
- Difficoltà ad abbandonarsi a ricordi positivi che riguardano il deceduto.
- Amarezza o rabbia in relazione alla perdita.
- Valutazione negativa di sé in relazione al deceduto o alla morte.
- Eccessivo evitamento di ricordi della perdita.
- Disordine sociale/dell’identità:
- Desiderio di morire per essere vicini al deceduto.
- Dal momento della morte, difficoltà nel provare fiducia verso gli altri.
- Dal momento della morte, sensazione di essere soli o distaccati dagli altri.
- Sensazione che la vita sia vuota o priva di senso senza il deceduto, o pensiero di “non farcela” senza il deceduto.
- Confusione circa il proprio ruolo nella vita, o diminuito senso della propria identità.
- Dal momento della perdita, difficoltà o riluttanza nel perseguire i propri interessi o nel fare piani per il futuro.
- Sofferenza reattiva alla morte:
- Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
- La reazione di lutto è sproporzionata o non coerente con le norme culturali e religiose o appropriate per l’età.
La depressione da lutto e il declino delle comunità locali
Le evidenze ormai dimostrano l’aumento dell’aspettativa di vita degli uomini, in particolare nei Paesi industrializzati.
Se da un lato viviamo più a lungo, e trascorriamo quindi molti più anni da anziani, con ogni probabilità lontani da figli e parenti prossimi, dall’altro lato assistiamo alla sgretolazione della comunità, quel luogo nel quale sentirsi al sicuro, protetti, grazie ad una collaborazione tra i vari membri della stessa.
Una delle conseguenze di questo processo di invecchiamento e della fine delle comunità locali è proprio un aumento del rischio di depressione da lutto, come suggerisce questo interessante paper pubblicato nel 2015.
Perdere il proprio partner di una vita in età avanzata è già di per sé un’esperienza provante, aggravata da quella naturale sensazione di solitudine generata proprio dall’assenza di un sistema di valori e di supporto condiviso, un tempo invece solido.
Le 5 fasi dell’elaborazione del lutto
Da quando Freud ha affrontato il lutto nel suo libro “Lutto e melanconia” nel 1915, molti studiosi si sono avvicinati a questo tema, cercando di analizzare il modo in cui gli individui affrontano la perdita di una persona cara.
Quello che è emerso, nelle varie pubblicazioni susseguitesi nel corso di più di un secolo, è la natura soggettiva e non lineare del dolore, ma si è anche delineato un pattern condiviso, quello che comunemente viene chiamato processo di elaborazione del lutto.
Il modello più diffuso, elaborato da Elisabeth Kübler-Ross ne 1969, prevede 5 fasi:
- negazione o rifiuto: questa fase è caratterizzata dal fatto che la persona avverte come impossibile che si sia verificato quell’evento, e nega che sia avvenuto;
- rabbia: in questa fase iniziano a manifestarsi emozioni forti quali rabbia e paura. Si tratta di una fase critica, che può condurre il soggetto a chiedere aiuto o a chiudersi in sé;
- contrattazione o patteggiamento: la persona inizia a verificare cosa è in grado di fare per riprendere il controllo della propria vita e cerca di fronteggiare la situazione;
- depressione: questa fase, particolarmente delicata, si verifica quando la persona inizia a prendere consapevolezza della perdita, dopo averla negata, avvertendo così un senso di sconfitta che causa episodi depressivi;
- accettazione: in questa fase il soggetto finalmente accetta la perdita della persona cara e la propria condizione, acquisendo consapevolezza di ciò che è accaduto e di quello che dovrà affrontare da quel momento in poi.
Come accennato, si tratta di un modello non lineare, organizzato appunto in fasi, che non sono propedeutiche le une alle altre, e che possono presentarsi oppure no, ripetersi oppure no.
Depressione da lutto: non esiste un unico approccio
Essendo l’elaborazione del lutto molto soggettiva, così come il modo di processare il dolore, ne consegue che non esiste una strategia univoca per affrontare la depressione da lutto.
Alcuni individui sono in grado di affrontare e superare il lutto, ed il conseguente episodio depressivo, senza un intervento medico, grazie magari al supporto di amici e familiari, mentre molti altri non riescono affatto ad elaborare l’evento, sviluppando così una condizione psichica a tutti gli effetti patologica.
Bisogna, inoltre, ricordare che i lutti non sono tutti uguali. La perdita di un coniuge in modo improvviso è spesso più dura da accettare rispetto al decesso dopo anni di malattia e sofferenza, così come in genere la morte di un figlio è molto più destabilizzante rispetto ad altri lutti.
A questo va aggiunta anche un’altra considerazione; la perdita di una persona cara difficilmente viene completamente superata, restano sempre delle “scorie”, che ogni tanto emergono riattivando pensieri negativi e umore nero.
Di conseguenza, anche l’apparente superamento di un episodio depressivo in seguito ad un lutto non va sottovalutato, soprattutto quando il suddetto episodio ha avuto una manifestazione alquanto violenta.
Come superare la depressione da lutto
Come abbiamo già illustrato in un precedente articolo, superare la depressione senza il ricorso ai farmaci è tecnicamente possibile, ma dipende molto dalle reali condizioni in cui versa il paziente.
La decisione va presa di comune accordo con un medico specializzato, sulla scorta di valutazioni, esami e accertamenti dedicati, non certo a cuor leggero.
In genere, il ricorso ai farmaci per contrastare la depressione da lutto è destinato a casi che presentano una sintomatologia di intensità moderata o grave, oppure sono presenti idee di suicidio, rallentamento psicomotorio.
Nei casi in cui, invece, gli episodi sono più lievi, è preferibile il ricorso a sedute di psicoterapia (breve, di appoggio, ad orientamento analitico, comportamentale, di gruppo), con un intervento mirato a contrastare alcuni sintomi connessi alla depressione, come i disturbi del sonno (insonnia, ad esempio).
Spesso, come supporto alla psicoterapia nei casi di depressione lieve si può fare ricorso alla somministrazione di integratori nutraceutici, evitando gli effetti collaterali degli antidepressivi e degli psicofarmaci.
In ogni caso, ci teniamo a ribadirlo, sarà cura del medico individuare il percorso più adatto da seguire.
Attenzione!
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