I disturbi depressivi colpiscono milioni di persone in tutto il mondo, con effetti più o meno gravi sulla qualità della vita di chi ne soffre; nel corso degli ultimi anni, numerosi studi scientifici dedicati a questa condizione hanno evidenziato un particolare legame tra depressione e cortisolo.
Il cortisolo, un ormone prodotto dalle ghiandole surrenali, è anche noto nel linguaggio comune come “ormone dello stress”, poiché i suoi livelli nel nostro organismo aumentano quando siamo sotto pressione; d’altro canto, anche la depressione è spesso associata a uno stato di stress cronico, che ne rappresenta, di fatto, uno dei sintomi principali.
In questo articolo andremo ad approfondire il legame tra la depressione e cortisolo, cercando di comprendere in che modo la regolazione di questo ormone possa aiutare nella gestione dei disturbi dell’umore.
Cos’è il cortisolo?
Il cortisolo è un ormone steroideo secreto dalle ghiandole surrenali, due piccole ghiandole endocrine, situate, come suggerisce il nome, sopra i reni, che hanno il compito di rilasciare ormoni nel flusso sanguigno.
Questo ormone, prodotto nello specifico dall’ipotalamo e dall’ipofisi, svolge un ruolo essenziale per il funzionamento del nostro organismo. È coinvolto, ad esempio, nella:
- regolazione del metabolismo;
- risposta immunitaria;
- pressione sanguigna;
- gestione dello stress.
A proposito di quest’ultima, che ci riporta al legame tra depressione e cortisolo di nostro interesse, è forse il caso di fare un attimo di chiarezza.
Ma come funziona il cortisolo? Semplificando, il corsolo funziona in questo modo; l’ipotalamo e l’ipofisi producono l’ormone, che viene poi trasferito nel flusso sanguigno dalle ghiandole surrenali. In condizioni normali, i livelli di cortisolo prodotto è adeguato a regolare la glicemia nel sangue, ma quando la produzione diminuisce si innesca una catena di eventi:
- l’ipotalamo rilascia un ormone, il Corticotropin-Releasing Hormone (CRH);
- il CRH stimola l’ipofisi a produrre ACTH (ormone adrenocorticotropo);
- l’ormone ACTH stimola il surrene a produrre e rilasciare cortisolo.
Cosa succede quando siamo stressati?
Quando siamo sotto stress, i livelli di cortisolo aumentano, con l’obiettivo di aiutare l’organismo a gestire la situazione di emergenza. In poche parole, questo ormone funge da sirena d’allarme, che costringe il nostro corpo a reagire alla minaccia, reale o percepita, dalla quale dipende il nostro stato d’ansia.
Purtroppo, se i livelli di cortisolo rimangono elevati per un lungo periodo di tempo, possono verificarsi effetti negativi sulla salute, come:
- l’aumento della pressione sanguigna;
- la riduzione della massa muscolare;
- la diminuzione della densità ossea;
- l’aumento del rischio di malattie cardiache e diabete;
- lo sviluppo di sintomi depressivi.
Nell’articolo scientifico “Stress, cortisolo, plasticità neuronale e patologia depressiva”, scritto dal Professore Giovanni Biggio del Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente dell’Università di Cagliari e dalla Dott.ssa Maria Cristina Mostallino, ricercatrice dell’Istituto di Neuroscienze del CNR (sempre di Cagliari), si legge quanto segue:
“Il cortisolo, un ormone secreto dalla corteccia surrenale attraverso un fisiologico ritmo circadiano, modula durante il giorno l’adattamento plastico dei neuroni agli stimoli ambientali. Al contrario, livelli elevati e persistenti di cortisolo durante l’ora diurna, serale e notturna portano ad una riduzione della plasticità neuronale e all’incapacità dei neuroni di esprimere e consolidare le sinapsi con alterazioni negative delle funzioni emotive, affettive e cognitive.”
Cosa vuol dire? Che il cortisolo segue un proprio ritmo circadiano – quello, per intenderci, che regola la veglia e il sonno – e livelli elevati di questo ormone, causati da una condizione di stress, hanno un effetto deleterio sull’attività neuronale, con conseguenze sulla sfera emotiva, affettiva e cognitiva.
Depressione e cortisolo: l’ipotesi ormonale
Com’è noto, la depressione è una malattia multifattoriale, le cui cause possono essere molteplici, non legate esclusivamente alla sfera psichica, ma anche a quella emotiva, relazionale, sociale, biologica e, appunto, ormonale.
Per approfondire, invitiamo a leggere l’articolo Quali sono le cause della depressione più diffuse.
Tra le più recenti ipotesi patogenetiche alla base dei disturbi depressivi possiamo menzionarne principalmente due.
La prima è la cosiddetta ipotesi aminergica della depressione, legata ad una carenza di alcuni neurotrasmettitori a livello sinaptico, come la serotonina, la noradrenalina e la dopamina. Non a caso, per il trattamento della depressione maggiore si somministrano, spesso, farmaci SSRI, acronimo dell’inglese Selective Serotonin Reuptake Inhibitors (Inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, in italiano).
La seconda, invece, è l’ipotesi ormonale della depressione, che riguarda diversi assi ormonali dai quali dipende il tono dell’umore, tra cui l’asse HPA (ipotalamo-ipofisi-surrene), che abbiamo visto essere collegato alla produzione di cortisolo e alla regolazione della risposta allo stress.
Come spiegato in un documento pubblicato dalla FIMG – Federazione Italiana dei Medici di Famiglia, l’aumento dei livelli di cortisolo nel sangue presenta una correlazione clinica con sintomi ansiosi e depressivi. Lo schema che segue può essere molto utile per comprendere meglio i meccanismi coinvolti in questa ipotesi.
Il summenzionato articolo del professor Biggio e della dott.ssa Mostallino conferma questa ipotesi, dichiarando che:
“l’esposizione a uno stress intenso e cronico attiva in modo eccessivo, anche grazie a un ridotto funzionamento del meccanismo a feedback negativo, l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene determinando un’elevata liberazione di ACTH e di cortisolo tale da indurre alterazioni funzionali significative nel sistema endocrino e cerebrale, fenomeno spesso associato a un incremento della vulnerabilità a sviluppare patologie mentali come la depressione.”
Come gestire un aumento di cortisolo
Abbiamo visto che, in condizioni di forte stress, il nostro corpo produce una quantità eccessiva di cortisolo, da cui derivano poi una serie di effetti collaterali con ricadute sul tono dell’umore.
Una delle opzioni terapeutiche più recenti nei casi di depressione maggiore negli adulti consiste nella somministrazione di farmaci contenenti il principio attivo agomelatina, un nuovo tipo di antidepressivo capace di sincronizzare il ritmo circadiano del cortisolo.
Il suo meccanismo di azione non si basa sulla serotonina, come avviene per gli SSRI, ma stimola i recettori della melatonina; questo riduce l’esposizione del paziente ad effetti collaterali molto frequenti con l’altra classe di antidepressivi, come riduzione della libido, perdita di peso, sonnolenza e agitazione, oltre a non creare dipendenza.
Come accade per altri rimedi contro la depressione, la sua efficacia varia di paziente in paziente. Di conseguenza, sarà il medico a stabilire come procedere nel trattamento della patologia.
Bibliografia
- Stress, cortisolo, plasticità neuronale e patologia depressiva, di G. Biggio e M.C. Mostallino. Journal of Psychopathology;
- Basi biologiche della depressione, di Riccardo Torta, neurologo e neuropsichiatra, Professore ordinario di Psicologia clinica presso l’Università degli Studi di Torino. Pubblicato da Metis, Società Scientifica dei Medici di Medicina Generale, FIMG – Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale;
- Panoramica sulle ghiandole surrenali, di Ashley B. Grossman, MD, University of Oxford; Fellow, Green-Templeton College. Manuale MSD;
- C’è da fidarsi dei nuovi antidepressivi?, risponde la professoressa Nicoletta Brunello, ordinaria di Farmacologia all’Università di Modena e Reggio Emilia. Fondazione Veronesi;
- Trattamento farmacologico per la depressione, di William Coryell , MD, University of Iowa Carver College of Medicine. Manuale MSD.
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