Il bullismo è un fenomeno molto diffuso – aggravato, negli ultimi anni, dalle nuove tecnologie digitali (cyberbullismo) – ma pochi sanno che è riconducibile ad una psicopatologia specifica, il disturbo della condotta, a sua volta appartenente alla categoria più ampia dei cosiddetti disturbi del controllo degli impulsi.
Insomma, contrariamente a quanto si possa pensare, i bulli non sono solo dei ragazzi dotati di un temperamento aggressivo, ma sono soggetti potenzialmente affetti da una condizione patologica, che se non diagnosticata in tempo utile può evolvere in qualcosa di più grave e invalidante.
Secondo l’UNICEF, 1 studente su 3, tra i 13 e i 15 anni, ha vissuto esperienze di bullismo, mentre tra il 5% e il 20% della popolazione minorile ha subito episodi di cyberbullismo, in continuo aumento.
Approfondiamo insieme, e cerchiamo di capire cos’è il disturbo della condotta e qual è il suo legame con il fenomeno del bullismo e dell’aggressività tra giovani e giovanissimi.
Cos’è il disturbo della condotta
“Un modello di comportamento ripetitivo e persistente in cui vengono violati i diritti fondamentali degli altri o le principali norme o regole sociali appropriate all’età.”
Questa è la definizione di disturbo della condotta contenuta nel DSM-V. Si tratta, più nel dettaglio, di una condizione comportamentale diagnosticata prevalentemente in età infantile e adolescenziale, caratterizzata da un pattern persistente di comportamenti antisociali, aggressivi e violenti.
In base all’età di insorgenza, il disturbo della condotta può essere:
- ad esordio infantile: almeno un sintomo prima dei 10 anni;
- ad esordio adolescenziale: assenza di sintomi prima dei 10 anni;
- di esordio non specificato: quando non si può determinare l’età d’inizio.
I giovani che ne sono affetti possono infrangere regole sociali e normative, violare i diritti altrui e manifestare una scarsa empatia verso le altre persone. Se non adeguatamente trattate, possono sviluppare altri disturbi psicologici e psichiatrici, come il disturbo antisociale di personalità nell’età adulta.
Come si diagnostica il disturbo della condotta?
Per diagnosticare il disturbo della condotta secondo il DSM-5, si richiede la presenza di almeno tre dei seguenti criteri negli ultimi 12 mesi (almeno uno dei quali deve essersi verificato negli ultimi 6 mesi):
- Aggressività verso persone e animali:
- tendere al bullismo, minacciare o intimidire frequentemente;
- iniziare spesso risse fisiche;
- utilizzare armi per causare gravi danni fisici (ad esempio bastoni, coltelli);
- mostrare crudeltà fisica verso persone o animali;
- rubare minacciando la vittima o mediante estorsione;
- forzare qualcuno ad attività sessuali.
- Distruzione della proprietà:
- dedicarsi deliberatamente ad atti incendiari con intento di arrecare danno (piromania);
- distruggere intenzionalmente beni altrui.
- Inganno o furto:
- introdursi illegalmente in case, edifici o veicoli;
- mentire frequentemente per ottenere vantaggi o evitare obblighi;
- rubare oggetti di valore senza affrontare direttamente la vittima (come nei casi di taccheggio o falsificazione).
- Gravi violazioni delle regole:
- rimanere fuori la notte nonostante il divieto dei genitori (inizio prima dei 13 anni);
- scappare da casa durante la notte almeno due volte (o una volta per periodi prolungati);
- essere frequentemente assente da scuola (inizio prima dei 13 anni).
Il comportamento deve causare un‘alterazione significativa nella sfera sociale, accademica o lavorativa del giovane. Se la persona ha più di 18 anni, la diagnosi di disturbo della condotta può essere fatta solo se non soddisfa i criteri per il summenzionato disturbo antisociale di personalità.
Il disturbo può essere inoltre classificato in base alla gravità:
- lieve: comportamenti limitati che causano danni minori agli altri (es. menzogne, assenze da scuola);
- moderato: livello intermedio tra le categorie;
- grave: numerosi comportamenti problematici che causano danni considerevoli (es. crudeltà fisica, furto con minaccia).
Questa specifica viene applicata a chi mostra almeno due dei seguenti tratti per un periodo di 12 mesi in diverse situazioni:
- mancanza di rimorso o senso di colpa: non prova rammarico o senso di colpa dopo aver commesso un errore;
- insensibilità – mancanza di empatia: disinteresse verso i sentimenti degli altri;
- indifferenza verso la performance: scarso impegno in ambito scolastico o lavorativo, con tendenza a incolpare gli altri;
- emotività superficiale o deficitaria: espressione di emozioni apparente o manipolatoria.
Questa classificazione permette di adattare l’intervento terapeutico in base alla complessità e gravità del disturbo, consentendo così un approccio personalizzato.
Quali sono le cause del disturbo della condotta?
Le psicopatologie hanno una natura sempre molto complessa, che coinvolge nella loro eziologia fattori di natura genetica, neurobiologica, ambientale e sociale, ed il disturbo della condotta non fa differenza in tal senso.
In linea generale, quindi, possiamo individuare le seguenti cause:
- fattori genetici: la genetica gioca un ruolo importante nello sviluppo del disturbo della condotta. Studi su gemelli e famiglie mostrano che esiste una predisposizione ereditaria al comportamento antisociale e aggressivo;
- fattori neurobiologici: a livello neurobiologico, alcuni giovani con DC presentano alterazioni nei livelli di neurotrasmettitori come la serotonina e la dopamina, che regolano emozioni e impulsi. Anche anomalie nella struttura e nel funzionamento di aree cerebrali, come la corteccia prefrontale e l’amigdala, possono ridurre la capacità di controllare le emozioni e aumentare la propensione a comportamenti aggressivi;
- fattori ambientali e familiari: bambini e adolescenti che crescono in contesti caratterizzati da violenza domestica, abusi, trascuratezza o genitorialità incoerente sono più a rischio di sviluppare comportamenti antisociali. Stili genitoriali rigidi o troppo permissivi, così come la mancanza di supporto emotivo, possono interferire con il normale sviluppo della regolazione emotiva e del senso di empatia. Inoltre, l’esposizione precoce a conflitti, violenza o traumi può influire sulla capacità di instaurare relazioni positive e alimentare una visione negativa e diffidente del mondo;
- fattori sociali: i giovani che vivono in quartieri svantaggiati o in contesti di deprivazione socioeconomica hanno un rischio maggiore di sviluppare questa condizione. In ambienti ad alto tasso di criminalità, i comportamenti antisociali possono essere più facilmente tollerati o persino incoraggiati, creando un terreno fertile per l’aggressività e il bullismo. Anche la pressione dei pari ha un impatto significativo, poiché i giovani possono essere indotti ad adottare comportamenti problematici per guadagnare approvazione o evitare l’isolamento;
L’ambiente scolastico può rappresentare sia un fattore di rischio che una risorsa. Una scuola con poco supporto psicologico, insegnanti impreparati alla gestione dei comportamenti difficili o assenza di regole chiare può alimentare l’insorgere di comportamenti antisociali. Al contrario, una scuola attenta alle necessità individuali e al benessere psicologico degli studenti può svolgere un ruolo preventivo fondamentale.
La comprensione delle cause e dei fattori di rischio permette di orientare gli interventi di prevenzione e di supporto psicologico, fondamentali per interrompere il circolo vizioso che può portare all’aggravarsi del disturbo.
Bullismo e aggressività nel contesto del disturbo della condotta
Il bullismo e l’aggressività sono manifestazioni chiave del disturbo della condotta, e ne rappresentano alcuni dei tratti più riconoscibili e dannosi, soprattutto in giovane o giovanissima età.
I giovani con DC spesso utilizzano l’aggressività in modo sistematico per affermare il proprio dominio o esercitare controllo sugli altri. Questo comportamento, ripetuto e deliberato, li porta a violare i confini degli altri senza mostrare empatia o rimorso per il danno causato.
Questa aggressività può essere suddivisa in due tipologie:
- reattiva: si manifesta come risposta impulsiva a situazioni percepite come minacciose. È spesso caratterizzata da una reazione immediata e istintiva, guidata da emozioni intense come rabbia o frustrazione;
- proattiva: è una forma pianificata e intenzionale di aggressività, utilizzata per ottenere benefici personali, esercitare controllo o raggiungere determinati obiettivi. Questo tipo di aggressività è premeditato e tende a essere privo di rimorso, suggerendo una mancanza di empatia verso le conseguenze sugli altri.
Il bullismo rientra in questa seconda categoria, con l’aggressività usata per esercitare potere e intimidire gli altri, assumendo diverse forme, come insulti verbali, isolamento sociale, cyberbullismo e violenza fisica.
È importante sottolineare, però, un aspetto, solo menzionato all’inizio del presente articolo: bullismo e aggressività nel disturbo della condotta non sono semplici atteggiamenti ribelli, ma veri e propri schemi comportamentali disfunzionali che richiedono interventi specializzati.
Non sono, insomma, semplici tratti caratteriali o “cose da ragazzi”.
Di conseguenza, riconoscere e affrontare questi comportamenti è essenziale per ridurre il rischio di escalation e per favorire una maggiore integrazione sociale del giovane.
Bullismo e cyberbullismo: quali sono le differenze
Com’è tristemente noto, da alcuni anni il bullismo ha trovato nuove strade per esprimersi, attraverso le nuove tecnologie informatiche, sfociando nel cosiddetto cyberbullismo.
Cos’è il cyberbullismo? Riportiamo di seguito la definizione contenuta nella Legge 29 maggio 2017, n. 71, anche nota come legge italiana sul cyberbullismo:
“per «cyberbullismo» si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo.”
Si tratta, insomma, di un fenomeno molto complesso, che eleva il bullismo ad una dimensione ancora più subdola e persistente.
Ma quali sono le differenze tra bullismo e cyberbullismo? Le elenca il Ministero dell’Istruzione e del Merito sul proprio sito web:
Bullismo | Cyberbullismo |
Sono coinvolti solo gli studenti della classe e/o dell’Istituto; | Possono essere coinvolti ragazzi ed adulti di tutto il mondo; |
generalmente solo chi ha un carattere forte, capace di imporre il proprio potere, può diventare un bullo; | chiunque, anche chi è vittima nella vita reale, può diventare cyberbullo; |
i bulli sono studenti, compagni di classe o di Istituto, conosciuti dalla vittima; | i cyberbulli possono essere anonimi e sollecitare la partecipazione di altri “amici” anonimi, in modo che la persona non sappia con chi sta interagendo; |
le azioni di bullismo vengono raccontate ad altri studenti della scuola in cui sono avvenute, sono circoscritte ad un determinato ambiente; | il materiale utilizzato per azioni di cyberbullismo può essere diffuso in tutto il mondo; |
le azioni di bullismo avvengono durante l’orario scolastico o nel tragitto casa-scuola, scuola-casa; | le comunicazioni aggressive possono avvenire 24 ore su 24; |
le dinamiche scolastiche o del gruppo classe limitano le azioni aggressive; | i cyberbulli hanno ampia libertà nel poter fare online ciò che non potrebbero fare nella vita reale; |
bisogno del bullo di dominare nelle relazioni interpersonali attraverso il contatto diretto con la vittima; | percezione di invisibilità da parte del cyberbullo attraverso azioni che si celano dietro la tecnologia; |
reazioni evidenti da parte della vittima e visibili nell’atto dell’azione di bullismo; | assenza di reazioni visibili da parte della vittima che non consentono al cyberbullo di vedere gli effetti delle proprie azioni; |
tendenza a sottrarsi da responsabilità portando su un piano scherzoso le azioni di violenza. | sdoppiamento della personalità: le conseguenze delle proprie azioni vengono attribuite al “profilo utente” creato. |
Oltre ad essere diagnosticato in tempo e trattato in modo adeguato – attraverso vari approcci, dalla psicoterapia alla terapia familiare, passando per un trattamento farmacologico – il disturbo della condotta, e in particolare il bullismo, può essere prevenuto, attraverso azioni di educazione e sensibilizzazione.
A tal proposito, consigliamo la consultazione del sito web dell’UNICEF, che presenta diversi opuscoli e articoli informativi sul tema.
Fonti
- Bullismo e Cyberbullismo, UNICEF;
- Bullismo e cyberbullismo, Ministero dell’Istruzione e del Merito;
- Bullismo e cyberbullismo, Ordine degli Psicologi della Lombardia;
- Disturbo della condotta, scritto da Josephine Elia, MD, Sidney Kimmel Medical College of Thomas Jefferson University, Manuale MSD;
- Verso il bullismo e oltre: il Disturbo della condotta, scritto da Emilio Franceschina, Psicologo e Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, Docente di Psicologia clinica presso l’Università degli Studi di Padova, Direttore Scientifico dell’Istituto Miller di Genova e Firenze, AIAMC – Associazione Italiana Analisi e modificazione del comportamento e terapia comportamentale e cognitiva.
Attenzione!
Le informazioni qui riportate hanno carattere puramente divulgativo e orientativo, non sostituiscono la consulenza medica. Eventuali decisioni che dovessero essere prese dai lettori, sulla base dei dati e delle informazioni qui riportate sono assunte in piena autonomia decisionale.