La depressione è una malattia, e come tale va trattata, anche dal punto di vista lavorativo, ma chi ne soffre tende a porsi giustamente una domanda frequente: “Quanto posso stare in malattia per depressione?”.
La depressione maggiore è stata infatti riconosciuta come condizione invalidante, in quanto rende spesso impossibile svolgere le normali mansioni lavorative. Per questo motivo, è possibile godere del diritto alla malattia retribuita in presenza di questa patologia, a patto che sia certificata da un medico.
Per usufruire della malattia per depressione è necessario attenersi alle indicazioni di legge.
Vediamo insieme come funziona la malattia per depressione, quanto dura, chi certifica la patologia e quali sono le modalità previste per le visite fiscali.
Malattia per depressione, aspettativa e invalidità civile
Come accennato, la depressione è stata riconosciuta come una malattia invalidante, e pertanto il lavoratore affetto da questa patologia può astenersi dal lavoro.
Le modalità consentite dalla legge sono essenzialmente 3:
- malattia per depressione;
- aspettativa dal lavoro;
- invalidità civile.
Nel primo caso, essendo la depressione una malattia riconosciuta, il lavoratore può usufruire della astensione dal lavoro per motivi di salute, con diritto alla retribuzione, esattamente come accade con altre patologie, dalla banale influenza a condizioni più complesse. Vedremo più avanti quanto dura la malattia per depressione.
Nel secondo caso, invece, un lavoratore che sta attraversando un periodo di disagio personale, ma che non ha una diagnosi di depressione maggiore eseguita da un medico, non può astenersi dal lavoro per malattia ma può richiedere un periodo di aspettativa dal lavoro, della durata massima di due anni, con diritto alla conservazione del posto di lavoro ma non alla retribuzione.
Infine, laddove la condizione depressiva del lavoratore dovesse rendere impossibile il rientro al lavoro, allora è possibile richiedere e vedersi riconosciuta una indennità per invalidità civile.
Invalidità civile per depressione
La condizione di invalidità per depressione maggiore va stabilita da un medico e assegnata entro determinati parametri, fissati attraverso le tabelle ministeriali indicate dal DM 05/02/1992.
Queste ultime prevedono una percentuale di invalidità diversa a seconda della gravità della patologia:
- sindrome depressiva endoreattiva lieve: invalidità del 10%;
- sindrome depressiva endoreattiva media: invalidità del 25%;
- sindrome depressiva endoreattiva grave: invalidità dal 31 al 40%;
- sindrome depressiva endogena lieve: invalidità del 30%;
- sindrome depressiva endogena media: invalidità dal 41 al 50%;
- sindrome depressiva endogena grave: invalidità dal 71 all’80%;
- nevrosi fobico ossessiva e/o ipocondriaca di media entità: invalidità dal 21% al 30%;
- nevrosi fobica ossessiva lieve: invalidità del 15%;
- nevrosi fobica ossessiva grave: invalidità dal 41% al 50%;
- nevrosi ansiosa: invalidità del 15%;
- psicosi ossessiva: invalidità dal 71% all’80%.
Quindi, in base alla diagnosi del medico e alla gravità della condizione di salute del lavoratore, si attribuisce una determinata percentuale di invalidità civile.
È bene segnalare che, oltre alle tabelle ministeriali, bisogna prestare attenzione anche a quelle dell’INPS, relative ai disturbi dell’apparato psichico e contenute nelle Linee Guida per l’accertamento degli stati invalidanti, che danno poi diritto ad una pensione di invalidità:
- depressione maggiore, episodio ricorrente (tab. c1-c2, deficit moderato): invalidità dal 61 all’80%;
- depressione maggiore, episodio ricorrente (tab. c1-c2, deficit grave): invalidità del 100%;
- disturbo bipolare I (tab. c1-c2, deficit moderato): invalidità dal 61 all’80%;
- disturbo bipolare I (tab. c1-c2, deficit grave): invalidità del 100%;
- disturbo bipolare II e disturbo bipolare sai (tab. c1-c2, deficit grave): invalidità del 75%;
- disturbi deliranti (paranoia, parafrenia, delirio condiviso, altri): invalidità del 75%.
Torniamo, ora, alla questione della malattia per depressione.
Chi certifica malattia per depressione?
Per astenersi per depressione dal lavoro è necessario produrre un “certificato di malattia”, ovvero un documento che certifica la presenza di una patologia che temporaneamente impedisce l’attività lavorativa.
Questo certificato deve contenere una diagnosi e una presunta durata della prognosi clinica di guarigione.
La legge prevede che questo documento possa e debba essere emesso solo dal medico di medicina generale, ovvero il medico curante, e non dallo psicologo o dallo psicoterapeuta che, di fatto, può stabilire in modo preciso se sussiste o meno una condizione di sindrome depressiva del paziente.
Quindi, in genere si raccomanda di rivolgersi ad un medico specialista (psicologo, psicoterapeuta, psichiatra, ecc…) al fine di ottenere una diagnosi clinica accurata, e con il certificato redatto da quest’ultimo, attestante il disturbo psichico, recarsi dal proprio medico di base per l’elaborazione del certificato di malattia così come richiesto dall’ente pubblico.
Per approfondire questa annosa questione di competenze tra medici, invitiamo a consultare il sito dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia, per consultare la certificazione di inidoneità.
Quanto dura la malattia per depressione?
Veniamo ora alla domanda iniziale, ovvero quanto posso stare in malattia per depressione? Insomma, quanto dura questa astensione dal lavoro?
Trattandosi di una astensione per malattia, perfettamente identica a quella prevista per altre patologie, la durata prevista per la guarigione è stabilita dal medico curante e indicata sul certificato medico.
Ad ogni modo, ci si attiene al cosiddetto periodo di comporto, ovvero il periodo di tempo tutelato dalla legge entro il quale spetta al lavoratore la conservazione del posto di lavoro in caso di astensione dal lavoro per malattia.
Questo periodo è stabilito dai CCNL e dagli accordi aziendali e/o individuali, ma in genere prevede una durata in base all’anzianità di servizio:
- 3 mesi quando l’anzianità di servizio non supera i dieci anni;
- 6 mesi se l’anzianità supera i dieci anni.
Si consiglia di verificare cosa prevede il proprio contratto di lavoro.
Chi soffre di depressione può essere licenziato?
Si e no, nel senso che dipende da alcuni fattori specifici. Come abbiamo spiegato prima, la malattia per depressione (ma non solo) ha una durata massima pari al periodo di comporto, superato il quale decade il diritto di conservazione del posto di lavoro.
Cosa vuol dire? Che il datore di lavoro potrebbe licenziare il dipendente in malattia se si supera quel tetto massimo.
Un’altra possibile ragione per procedere al licenziamento per giusta causa consiste nel sorprendere il dipendente in malattia per depressione a svolgere delle attività incompatibili con il suo stato di salute, anche se quando si tratta di psicopatologie e disturbi dell’umore non è così facile stabilirle, a differenza di quello che accade con altre condizioni.
Ad esempio, se il lavoratore si è assentato in quanto influenzato, sorprenderlo a svolgere attività fisica potrebbe essere considerato incompatibile con le ragioni alla base dell’astensione dal lavoro, anche perché potrebbero allungare i tempi di guarigione.
Per quanto riguarda, invece, una persona affetta da depressione, quest’ultima non trascorre l’intera giornata in solitudine, evitando qualsiasi tipo di attività, anche quelle ludiche e gradevoli, perché la malattia tende ad avere un decorso intermittente e variabile nel tempo.
Non a caso la Corte di Cassazione ha stabilito, ad esempio, che non è possibile licenziare un dipendente in malattia per depressione che viene sorpreso in momenti ludici e di svago.
Infine, è possibile procedere a sanzioni, multe, riduzione dell’indennità INPS, fino al licenziamento del dipendente, qualora risultasse assente negli orari di reperibilità per le visite fiscali o uscisse in un momento successivo svolgendo però delle attività incompatibili con il suo stato di salute, salvo casi di esenzione previste dal certificato medico o di giustificato motivo (ricovero in ospedale, visita medica, ecc…).
Attenzione!
Le informazioni qui riportate hanno carattere puramente divulgativo e orientativo, non sostituiscono la consulenza medica. Eventuali decisioni che dovessero essere prese dai lettori, sulla base dei dati e delle informazioni qui riportate sono assunte in piena autonomia decisionale.