L’Alzheimer è una patologia neurodegenerativa complessa, la più diffusa al mondo, caratterizzata da un declino progressivo delle funzioni cognitive. Ad oggi, la ricerca scientifica ha identificato diversi fattori chiave coinvolti nello sviluppo di questa malattia, tra cui un ruolo centrale è rivestito dalla proteina Tau.
In condizioni normali, questa proteina contribuisce a stabilizzare le strutture del cervello. Tuttavia, nei pazienti affetti da Alzheimer, subisce delle alterazioni che ne compromettono la funzione, portando alla formazione di aggregati e depositi proteici dannosi per i neuroni.
Per questo motivo, comprendere la relazione tra l’Alzheimer e la proteina Tau è fondamentale per sviluppare nuove strategie terapeutiche. Come vedremo più nel dettaglio, studi recenti hanno evidenziato come la Tau possa essere utilizzata come biomarcatore per la diagnosi precoce della malattia, attraverso un “semplice” esame del sangue.
Inoltre, la ricerca si sta concentrando sullo sviluppo di terapie mirate a prevenire l’aggregazione della proteina Tau e a ripristinarne la corretta funzionalità.
Approfondiamo insieme, e cerchiamo di fare chiarezza sul ruolo della proteina Tau nell’Alzheimer, esplorando i meccanismi alla base della sua disfunzione e le implicazioni per la diagnosi e il trattamento di questa malattia.
Cos’è la proteina Tau?
La proteina Tau è una sostanza fondamentale per il corretto funzionamento dei neuroni, le cellule che compongono il nostro cervello. Il suo compito principale è mantenere stabili i microtubuli, strutture simili a piccoli tubi che servono come binari per trasportare sostanze essenziali all’interno delle cellule nervose. Grazie a questi trasporti, i neuroni possono funzionare correttamente e comunicare tra loro.
In condizioni normali, la proteina Tau subisce un processo chiamato fosforilazione, che consiste nell’aggiunta di piccole molecole (gruppi fosfato) per regolarne l’attività. Tuttavia, quando questa modificazione avviene in modo eccessivo o errato, si parla di iperfosforilazione.
In questo stato alterato, la proteina Tau perde la sua capacità di supportare i microtubuli e tende ad accumularsi all’interno dei neuroni, formando aggregati tossici. Questi accumuli ostacolano il funzionamento delle cellule nervose e possono portare alla loro degenerazione, un fenomeno che si osserva in malattie come l’Alzheimer.
Capire il ruolo della proteina Tau è molto importante per la ricerca sulle malattie neurodegenerative, perché potrebbe aiutare a sviluppare nuove strategie per prevenirle o rallentarne la progressione.
La proteina Tau nell’Alzheimer
Nel morbo di Alzheimer, la proteina Tau subisce dei cambiamenti che ne alterano la funzione, portando alla formazione di aggregati e depositi proteici dannosi per i neuroni, un processo tipico delle fasi iniziali di questa patologia. Quando questo accade, le cellule nervose non riescono più a funzionare correttamente e, col tempo, muoiono.
Bloccare questa aggregazione potrebbe quindi aiutare a ridurre i sintomi della malattia.
Come accennato prima, uno dei problemi principali è che la Tau diventa iperfosforilata, cioè subisce una modifica chimica eccessiva che la rende instabile. Invece di svolgere il suo compito normale, questa proteina si aggroviglia formando, appunto, dei grovigli neurofibrillari, che ostacolano il funzionamento dei neuroni e ne causano il deterioramento.
Un’altra proteina, chiamata ubiquitina, gioca un ruolo in questo processo. Normalmente aiuta a eliminare le proteine danneggiate, ma quando interagisce con la proteina Tau in modo anomalo, può favorire la formazione dei grovigli.
Il ruolo della proteina Tau nella diagnosi precoce dell’Alzheimer
La diagnosi dell’Alzheimer sta diventando sempre più precisa anche grazie a nuove tecniche basate proprio sull’analisi della proteina Tau.
Recenti studi hanno dimostrato che è possibile rilevare anomalie della proteina Tau con un semplice prelievo di sangue. Tuttavia, il problema principale è distinguere la Tau proveniente dal cervello da quella prodotta da altre cellule del corpo.
Per questo motivo, i ricercatori hanno sviluppato un anticorpo speciale che riconosce solo la proteina Tau proveniente dal cervello, chiamata BD-Tau. Questo test è stato eseguito su oltre 600 pazienti, dimostrando un’accuratezza simile a quella di test più invasivi, come l’analisi del liquido cerebrospinale.
A differenza della Tau totale nel sangue, che può essere influenzata da altre condizioni, la BD-Tau è un indicatore specifico dell’Alzheimer. Questo la rende utile per completare il cosiddetto schema ATN (Amiloide, Tau, Neurodegenerazione), un sistema usato per diagnosticare la malattia.
Il test della BD-Tau può distinguere con precisione l’Alzheimer da altre patologie, come la demenza frontotemporale o alcuni disturbi del Parkinson. Inoltre, si è visto che è correlata a un altro marcatore, il neurofilamento leggero, solo nei pazienti con Alzheimer.
Identificare l’Alzheimer nelle fasi iniziali è fondamentale per poter intervenire in modo tempestivo e rallentarne la progressione, dato che attualmente non esiste una cura definitiva.
La BD-Tau non solo aiuta nella diagnosi, ma si correla anche con la gravità della malattia.
Grazie a questi progressi, in futuro potrebbe diventare più semplice diagnosticare l’Alzheimer con un semplice esame del sangue, migliorando l’accesso alle cure e la qualità della vita dei pazienti.
L’importanza della ricerca sul ruolo della proteina Tau
La ricerca su nuove terapie per l’Alzheimer si sta concentrando sempre di più sulla proteina Tau, considerata un elemento chiave nella progressione della malattia.
Ecco alcuni degli approcci più promettenti emersi in questi ultimi anni:
- ruolo dell’ubiquitina nella proteina Tau: i ricercatori stanno studiando come i neuroni tentano di eliminare gli accumuli anomali di proteina Tau. Poiché negli Alzheimer questi accumuli sono legati a un’altra proteina chiamata ubiquitina, si cerca di capire se questa connessione favorisca o ostacoli la formazione degli aggregati tossici. Scoprire questi meccanismi potrebbe portare a nuove strategie per prevenire o rallentare la malattia;
- farmaci mirati: una delle principali strategie terapeutiche in fase di studio è quella di sviluppare farmaci che agiscano proprio sul legame tra Tau e ubiquitina. L’obiettivo è eliminare gli accumuli tossici e riportare i livelli di Tau alla normalità nel cervello;
- blocco dell’aggregazione: alcune terapie sperimentali puntano a impedire che la proteina Tau si aggreghi e formi i cosiddetti “grovigli neurofibrillari”, che danneggiano i neuroni;
- immunoterapie: alcuni studi preclinici hanno mostrato che terapie basate sul sistema immunitario possono ridurre la presenza della proteina Tau alterata. Questo approccio potrebbe rivelarsi molto utile, poiché l’accumulo di Tau sembra essere più direttamente collegato al declino cognitivo rispetto alle placche di amiloide-beta, un altro segno distintivo dell’Alzheimer;
- sostanze naturali promettenti: alcuni composti presenti nel caffè e in altri alimenti, come caffeina, teobromina, trigonellina e genisteina, sembrano influenzare la formazione degli aggregati di Tau, rendendoli meno dannosi. Questi risultati potrebbero portare alla creazione di nuovi farmaci a base di composti naturali per contrastare l’Alzheimer;
- ripristino dell’equilibrio naturale: un altro obiettivo della ricerca è capire se la forma della proteina Tau e il suo legame con l’ubiquitina cambiano nel corso della malattia, impedendone la normale eliminazione. Scoprire come ripristinare questo equilibrio potrebbe aiutare a prevenire la degenerazione dei neuroni.
L’obiettivo finale della ricerca è individuare strategie terapeutiche efficaci che possano modulare l’attività della proteina Tau, prevenire la formazione di accumuli tossici e proteggere il cervello dalla neurodegenerazione. Anche se c’è ancora molta strada da fare, questi studi aprono la porta a nuove possibilità di cura per l’Alzheimer.
Il ruolo del caffè espresso nella prevenzione dell’Alzheimer
Come accennato prima, il caffè espresso potrebbe avere un ruolo nella prevenzione dell’Alzheimer grazie ai suoi composti bioattivi. Uno studio condotto dall’Università di Verona ha evidenziato che alcune sostanze presenti nel caffè possono ridurre l’aggregazione della proteina Tau.
Ecco cosa è emerso dallo studio:
- blocco dell’aggregazione della proteina Tau: il caffè espresso contiene un’elevata quantità di caffeina, che sembra aiutare a prevenire la formazione degli accumuli tossici di proteina Tau nel cervello;
- composti benefici: oltre alla caffeina, i ricercatori hanno individuato altre sostanze nel caffè con possibili effetti protettivi, tra cui teobromina (presente anche nel cioccolato), trigonellina e genisteina (un flavonoide);
- aggregati meno dannosi: gli esperimenti in laboratorio hanno mostrato che, quando si aumenta la concentrazione di caffeina o genisteina, gli accumuli di proteina Tau diventano più piccoli e meno tossici per le cellule, riducendo il rischio di danni neuronali.
Questi risultati suggeriscono che il caffè espresso potrebbe ispirare la creazione di nuovi composti bioattivi per prevenire o rallentare la progressione delle malattie neurodegenerative, inclusa l’Alzheimer.
Va però sottolineato che questa ricerca è ancora in fase iniziale e i dati raccolti in laboratorio devono essere confermati con studi più approfonditi.
Fonti
- tau-iperfosforilata (p-tau), Centro Alzheimer;
- Alzheimer: studiare la proteina Tau per nuove strategie di cura, scritto da Fabio Di Todaro, Fondazione Umberto Veronesi ETS;
- Il sangue aiuta a diagnosticare l’Alzheimer: il nuovo studio, AVIS;
- Brain-derived tau: a novel blood-based biomarker for Alzheimer’s disease-type neurodegeneration, Fernando Gonzalez-Ortiz et al., Brain;
- Alzheimer. Il caffè espresso mitiga l’aggregazione delle proteine Tau, MSD Salute;
- Espresso Coffee Mitigates the Aggregation and Condensation of Alzheimer′s Associated Tau Protein, Roberto Tira, Giovanna Viola, Carlo Giorgio Barracchia, Francesca Parolini, Francesca Munari, Stefano Capaldi, Michael Assfalg, Mariapina D’Onofrio, Journal of Agricultural and Food Chemistry;
- Alzheimer. Le cellule T “accendono” la malattia, Quotidiano Sanità;
- Microglia-mediated T cell Infiltration Drives Neurodegeneration in Tauopathy, Xiaoying Chen et al., Nature;
- Role of tau protein in Alzheimer’s disease: The prime pathological player, Shibi Muralida et al., International Journal of Biological Macromolecules;
- Spread of pathological tau proteins through communicating neurons in human Alzheimer’s disease, Jacob W. Vogel, Yasser Iturria-Medina, Olof T. Strandberg, Ruben Smith, Elizabeth Levitis, Alan C. Evans, Oskar Hansson, Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative & the Swedish BioFinder Study, Nature Communications;
- Role of tau protein in Alzheimer’s disease: The prime pathological player, Shibi Muralidar et al, International Journal of Biological Macromolecules;
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