Resistenza al cambiamento: come superarla

resistenza al cambiamento

La resistenza al cambiamento in psicologia e psicoterapia si riferisce a tutte quelle situazioni in cui, consapevolmente o meno, un individuo finisce per boicottare la direzione del lavoro intrapreso nella terapia. Questo comportamento cela una tendenza più generalizzata a mantenere inalterata la propria situazione di vita

Sebbene la situazione attuale possa essere disfunzionale, le persone spesso preferiscono rimanere nella loro zona di comfort perché è familiare e percepita come una fonte di sicurezza, seppur “malata”. In questi casi, la vera sofferenza deriva dal non voler accettare il cambiamento.

Il concetto di “resistenza al cambiamento” fu introdotto per la prima volta da Freud e Breuer (1895/1955) in ambito clinico, dopo aver notato che l’introduzione di “segreti” da parte dell’inconscio spesso generava una resistenza continua da parte del paziente. Inizialmente, la resistenza era considerata un aspetto negativo, portando a vedere il paziente come “non cooperativo”

Tuttavia, con lo sviluppo dell’ego-psicologia, si è chiarito che la resistenza gioca un ruolo importante nel funzionamento psicologico e che, comprendendola, è possibile mappare aspetti inconsci dell’Io e portarli alla consapevolezza del paziente.

Come si manifesta la resistenza al cambiamento?

La resistenza al cambiamento si può articolare in vari livelli di consapevolezza:

  • il paziente può evitare di rivelare materiale di cui è cosciente, arrivando persino a mentire al terapeuta;
  • talvolta il paziente non è consapevole dell’esistenza di un conflitto che genera resistenza, ma ne diventa cosciente quando il terapeuta lo evidenzia;
  • il tipo più difficile di resistenza si verifica quando il paziente è totalmente inconsapevole di materiale inconscio, utilizzando meccanismi di difesa dell’Io come spostamento, isolamento o proiezione senza esserne consapevole.

Questo atteggiamento può manifestarsi in diverse forme all’interno del percorso terapeutico:

  • espressioni di evitamento durante il colloquio, come silenzi o risposte evasive;
  • scarsa compliance verso i compiti assegnati, comportamenti incoerenti con quanto concordato in seduta, o polemiche e affermazioni screditanti verso il terapeuta;
  • segnali di arresto rispetto al piano terapeutico concordato, suggerendo un disallineamento tra gli obiettivi del terapeuta e quelli del paziente;
  • lamentele (“Non capisco a cosa serva”), sfida o disaccordo (“È lei che dovrebbe aiutarmi!”), o tendenze a deviare gli argomenti della seduta proponendone continuamente altri;
  • azioni concrete, come il non presentarsi a una sessione terapeutica.

I pazienti che assumono questo tipo di approccio e comportamento rappresentano una sfida al lavoro del terapeuta, che deve cercare di individuarne le cause profonde e avviare un percorso di risoluzione del problema.

Quali sono le origini?

Le origini della resistenza sono complesse e multifattoriali, e possono essere individuate sia in fattori psicologici individuali sia nella personalità del paziente. In alcuni casi, intervengono anche esperienze vissute nell’infanzia

Nel dettaglio:

  • Fattori psicologici individuali:
    • bisogno di mantenere la repressione di conflitti inconsci per evitare effetti spiacevoli;
    • ripetizione compulsiva del desiderio di soddisfare pulsioni infantili e i loro derivati;
    • paura e ansia legate allo sviluppo di nuove modalità e meccanismi durante la terapia, con incertezza sul risultato e percepita perdita di energia;
    • una più generalizzata paura dell’ignoto che accompagna il cambiamento;
    • la “forza morale”, cioè la tendenza a credere che il status quo sia il migliore e “moralmente corretto”, rendendo difficile il suo abbandono;
    • apatia, dove il cambiamento è percepito come uno sforzo eccessivo non proporzionato ai benefici desiderati;
    • la sindrome del sopravvissuto, in cui l’individuo si auto-sabota non riconoscendosi il diritto di cambiare;
    • difficoltà cognitive nel prendere consapevolezza della necessità del cambiamento o dei cambiamenti già attuati;
    • paura di fallire o che il cambiamento possa portare a un disastro;
    • credenze radicate e disadattive, comprese le “teorie psicologiche naif” che attribuiscono stati d’animo a fattori esterni, deresponsabilizzando il paziente;
    • stili di coping disadattivi come l’evitamento (fuggire da situazioni attivanti) e la compensazione (ricerca eccessiva di approvazione), che in terapia si traducono in scarsa partecipazione o idealizzazione del terapeuta.
  • Personalità: la gravità del disturbo, la bassa tolleranza alla frustrazione, l’autopunizione, la sfiducia, il pessimismo, la mancanza di assunzione del rischio, il perfezionismo, la grandiosità e uno spirito di ribellione possono essere elementi di resistenza. La ricerca ha identificato che la resistenza al cambiamento ha componenti affettive, cognitive e comportamentali, e si manifesta con ricerca di routine, reazioni emotive, pensiero a breve termine e rigidità cognitiva. L’estroversione e il nevroticismo sono tra i tratti della personalità più legati alla resistenza al cambiamento, con alti livelli di nevroticismo e bassi livelli di estroversione associati a maggiore resistenza.
  • Esperienze infantili: lo sviluppo della resistenza può iniziare precocemente nell’infanzia. L’assenza di attaccamento sicuro, combinata con routine rigide e rinforzi negativi, può portare allo sviluppo di una resistenza psicologica.

Il linguaggio del corpo

La resistenza al cambiamento, sia in contesti clinici che organizzativi, si manifesta attraverso una serie di segnali non verbali che possono offrire preziose informazioni sulla difficoltà di un individuo ad accettare o intraprendere nuove direzioni. Questi segnali possono essere osservati sia a livello di macro-movimenti che di micro-gesti.

Ecco alcune delle manifestazioni non verbali chiave della resistenza al cambiamento:

  • linguaggio del corpo generale e controllo muscolare: la resistenza può essere evidente attraverso un movimento corporeo soppresso o persino assente e da un maggiore controllo muscolare, in particolare nel viso;
  • comportamenti di avvicinamento o evitamento:
    • allontanarsi o rimanere immobili sono espressioni di riserva e resistenza al cambiamento. Al contrario, avvicinarsi è l’opposto e può indicare una sensazione di sicurezza e fiducia;
    • distanza interpersonale: la zona pubblica, la più lontana, indica la massima resistenza al cambiamento, mentre la zona intima, la più vicina, suggerisce la minima resistenza. Gli individui più estroversi tendono a sedersi più vicino agli altri, mostrando meno resistenza, mentre le persone psicologicamente disturbate, ansiose, disadattate e introverse mantengono una maggiore distanza interpersonale. Trovare un posto lontano da un oratore in una sala conferenze può esprimere resistenza e un atteggiamento critico, mentre sedersi vicino indica interesse. La paura di stare o sedere troppo vicino a un’altra persona e la paura di parlare con sconosciuti possono manifestarsi come resistenze, con gesti più controllati e trattenuti;
  • posture e gesti specifici:
    • inclinarsi all’indietro (da seduti o in piedi) con braccia o gambe incrociate (da seduti) può essere un’espressione di resistenza;
    • stare in cerchio con altri ma orientare il busto e i piedi in una direzione diversa da quella dell’interlocutore o del centro del cerchio indica resistenza;
    • una postura “affondata” o ricurva, con le spalle arrotondate e il collo proteso in avanti, indica passività o depressione e riflette resistenza;
    • l’inclinazione verso il basso della testa e la ridotta frequenza dei movimenti delle mani sono espressioni di resistenza al cambiamento;
    • avere le braccia incrociate sul petto è una chiara manifestazione di resistenza al contatto umano. Una variante terapeutica consiste nel premere le mani saldamente intrecciate sull’inguine;
    • nelle presentazioni di saluto, gli individui resistenti possono evitare di applicare pressione durante una stretta di mano, stringere solo la parte superiore delle dita dell’altro o allontanare la mano;
  • comportamento visivo:
    • le pupille si restringono quando una persona trasmette un’impressione negativa o difensiva, o nutre pensieri negativi, indicando una forte resistenza;
    • guardare a terra o la punta dei piedi è tipico di un individuo che ha paura del cambiamento, si affida a vecchie esperienze ed è cauto riguardo a quelle nuove;
  • scrittura (grafologia): la scrittura è una forma di linguaggio del corpo basata su micro-movimenti. Un ritmo di movimento debole e disturbato nella scrittura (descritto come fiacco, rigido, formale, fragile, tremolante, disarticolato, lacerato, con pressione disperata e irregolare) è associato a una forte resistenza al cambiamento, tipica di introversi e nevrotici.

L’osservazione attenta di questi segnali non verbali fornisce al terapeuta  un segnale di allarme, rendendo necessaria un’indagine approfondita per comprendere la difficoltà sottostante.

Il ruolo del terapeuta e la gestione della resistenza

La relazione tra paziente e terapeuta è fondamentale nel processo di cambiamento. È cruciale che il terapeuta non veda la resistenza semplicemente come un ostacolo da superare, ma come un utile “segnale di allarme” o “red flag”. Similmente al dolore nel corpo, la resistenza indica che qualcosa non va, ma non specifica cosa. Richiede un’attenta indagine e ascolto per comprendere la difficoltà sottostante.

È importante riconoscere che sia chi propone il cambiamento che chi lo riceve contribuiscono alla resistenza. I terapeuti devono focalizzarsi meno sulle resistenze del paziente e più sull’analizzare le proprie “controresistenze”. L’eccessiva aderenza ai protocolli, la rigidità, la mancanza di autenticità e di capacità empatiche, assieme alle aspettative negative del terapeuta, possono ostacolare il cambiamento.

Per affrontare la resistenza in modo costruttivo, il terapeuta deve:

  • comprendere e rispettare l’ambivalenza del paziente e accogliere con empatia e accettazione quanto portato dal paziente;
  • evitare un atteggiamento eccessivamente direttivo quando il paziente presenta resistenze, poiché ciò può risultare improduttivo o dannoso;
  • considerare la resistenza come una fonte di preziose informazioni piuttosto che un ostacolo;
  • esaminare e validare i benefici percepiti della resistenza dal paziente, comunicando che il problema e le difficoltà a cambiare sono comprensibili. Questo atteggiamento aperto e non giudicante può spingere il paziente a parlare del cambiamento desiderato;
  • aiutare il paziente a focalizzarsi sui vantaggi del cambiamento e ad esplicitare la discrepanza tra i comportamenti problematici e i propri valori personali;
  • sostenere l’autoefficacia del paziente e stimolare la preparazione congiunta di un piano d’azione con passi pratici verso il cambiamento;
  • riconoscere e gestire le rotture dell’alleanza terapeutica, che rappresentano disaccordi sugli obiettivi o problematiche relazionali, poiché la loro risoluzione è fondamentale per il cambiamento.

Se affrontata in modo costruttivo, la resistenza può fornire feedback preziosi e opportunità di miglioramento per le iniziative di cambiamento, aiutando a perfezionarle e rafforzarle. Il colloquio motivazionale, in particolare, si pone come strumento per lavorare sulle resistenze, partendo dal presupposto che il paziente è esperto di sé e capace di trovare la propria strada, mettendo al centro la relazione terapeutica.

Domande frequenti (FAQ)

Che cosa si intende per resistenza al cambiamento?

La resistenza al cambiamento è la difficoltà di un individuo ad accettare o intraprendere nuove direzioni o modifiche. È una risposta complessa e multifattoriale con componenti affettive, cognitive e comportamentali. Spesso, le persone non resistono al cambiamento tecnico in sé, ma al cambiamento sociale, cioè all’alterazione delle loro relazioni umane consolidate. Si manifesta con segnali come la riduzione della produttività o l’ostilità.

Quali sono le principali ragioni per cui le persone resistono al cambiamento?

Le ragioni sono molteplici:

– Paura dell’ignoto e incertezza, che genera ansia per il risultato.
– La “forza morale” o l’attaccamento a routine consolidate, dove il familiare è percepito come “moralmente corretto”.
– La paura del fallimento o l’apatia, ovvero la percezione che lo sforzo richiesto non valga il risultato.
– La mancanza di fiducia nei promotori del cambiamento.
– Radici nell’infanzia, con assenza di attaccamento sicuro, routine rigide e rinforzi negativi.

In che modo la resistenza si presenta in un percorso terapeutico?

In terapia, la resistenza può manifestarsi come il boicottaggio consapevole o meno della direzione del lavoro terapeutico. I pazienti possono chiedere di essere “cambiati senza cambiare”. Si osservano ambivalenza verso il cambiamento, scarsa compliance (es. assenza agli appuntamenti, non adesione ai compiti), silenzi o risposte evasive. Può anche apparire come paura o incertezza riguardo a nuove modalità di pensiero e comportamento.

Come può un professionista della salute mentale aiutare a superare la resistenza al cambiamento?

Un professionista dovrebbe comprendere e rispettare l’ambivalenza del paziente, vedendo la resistenza come una preziosa fonte di informazioni, non solo un ostacolo. È fondamentale l’empatia e l’accettazione. Il colloquio motivazionale è uno strumento chiave, incentrato sul cliente, che aiuta a esplorare i vantaggi e gli svantaggi del cambiamento, a risolvere le discrepanze tra valori e comportamenti, e a sostenere l’autoefficacia del paziente.

Che cosa sono i segnali non verbali di resistenza al cambiamento?

Sono manifestazioni del linguaggio del corpo che rivelano la difficoltà di un individuo ad accettare o intraprendere nuove direzioni. Possono includere un movimento corporeo soppresso o assente e un maggiore controllo muscolare, specialmente nel viso. Questi segnali fungono da campanello d’allarme di una situazione da indagare.

Come si manifesta la resistenza attraverso la distanza fisica e il movimento?

Allontanarsi o rimanere immobili sono espressioni di riserva e resistenza al cambiamento. Al contrario, avvicinarsi può indicare sicurezza. La distanza interpersonale gioca un ruolo: la zona pubblica (la più lontana) indica la massima resistenza, mentre la zona intima (la più vicina) suggerisce la minima. Individui più introversi e nevrotici tendono a mantenere una maggiore distanza.

Quali posture e gesti specifici indicano resistenza?

Possono includere:

1. Inclinarsi all’indietro (da seduti o in piedi) con braccia o gambe incrociate (da seduti).
2. Orientare il busto e i piedi in una direzione diversa dall’interlocutore.
3. Una postura “affondata” o ricurva, che indica passività o depressione.
4. L’inclinazione verso il basso della testa e la ridotta frequenza dei movimenti delle mani.
braccia incrociate sul petto o mani intrecciate sull’inguine.
5. durante una stretta di mano, evitare di applicare pressione, stringere solo la parte superiore delle dita, o allontanare la mano.

Il comportamento visivo può rivelare resistenza?

Sì. Le pupille si restringono quando una persona trasmette un’impressione negativa o difensiva, o nutre pensieri negativi, indicando una forte resistenza. Inoltre, guardare a terra o la punta dei piedi è tipico di un individuo che ha paura del cambiamento, si affida a vecchie esperienze ed è cauto riguardo a quelle nuove.

La scrittura è un indicatore di resistenza al cambiamento?

Assolutamente sì. La scrittura è considerata una forma di linguaggio del corpo basata sui micro-movimenti. Un ritmo di movimento debole e disturbato nella scrittura (fiacco, rigido, tremolante, disarticolato, con pressione disperata e irregolare) è associato a una forte resistenza al cambiamento. Questo pattern è tipico di persone introverse e nevrotiche.

Qual è il significato più profondo della resistenza al cambiamento?

La resistenza non dovrebbe essere vista solo come un ostacolo, ma come un utile segnale di allarme che indica che qualcosa non va. Spesso, ciò che le persone resistono non è il cambiamento tecnico in sé, ma il cambiamento sociale, ovvero l’alterazione delle loro relazioni umane stabilite. Può derivare dalla paura dell’ignoto, della percezione di risorse personali insufficienti, o dall’apatia.

La resistenza al cambiamento è sempre negativa?

No, la resistenza di per sé non è né buona né cattiva. Può essere fondata o meno, ma è sempre un importante segnale che richiede ulteriori indagini. Se affrontata costruttivamente e con empatia, può aiutare a perfezionare e rafforzare le iniziative di cambiamento, fornendo preziose informazioni.

Fonti

Attenzione!
Le informazioni qui riportate hanno carattere puramente divulgativo e orientativo, non sostituiscono la consulenza medica. Eventuali decisioni che dovessero essere prese dai lettori, sulla base dei dati e delle informazioni qui riportate sono assunte in piena autonomia decisionale.

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